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Nella sfida tra i DNVB e i marchi tradizionali, i vincitori saranno sostenuti dai dati

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Si parla molto dei brand virtuali nativi digitali (DNVB) e di quelli diretti al consumatore (DTC) che competono con la vendita al dettaglio tradizionale, e si specula molto sul vantaggio ottenuto dai brand più recenti che fanno meno affidamento sui negozi fisici. Tuttavia, si parla poco della fusione dei due modelli di business. Prendiamo ad esempio Harry’s, l’azienda produttrice di rasoi. Questa DNVB è passata dall’avere zero scorte e dall’effettuare massicce campagne di pre-ordine e di e-mail, all’acquistare il proprio fornitore (una fabbrica tedesca) per 100 milioni di dollari dopo essere stata in attività per soli dieci mesi. Oggi, a distanza di soli cinque anni, l’80% delle sue vendite proviene da canali di vendita offline, principalmente Target e J. Crew.

Brand contemporanei (DNVB e DTC)

ISe vi state chiedendo che cos’è un brand verticale nativo digitale (Digital Native Vertical Brand, DNVB) o un brand diretto al consumatore (Direct To Consumer, DTC) o se c’è una differenza tra loro, Nate Poulin fornisce un’utile distinzione e una spiegazione del motivo per cui esistono. Parafrasando, i DNVB sono tipicamente integrati verticalmente sia all’indietro (progettazione, produzione, catena di fornitura) sia in avanti (distribuzione, canali di vendita, assistenza clienti). Le aziende DTC tendono a quest’ultima. Per ammissione di Poulin, tuttavia, i due termini vengono utilizzati in modo intercambiabile e, rispetto ai marchi tradizionali o storici, entrambi vengono definiti marchi contemporanei.

Negli ultimi 5-10 anni si sono formate alcune tendenze nella strategia di crescita di questi marchi contemporanei, sulle quali Business of Fashion e 2 PM forniscono alcuni spunti e osservazioni. Ad esempio, il rapporto LTV:CAC è un modo incompleto per analizzare e proiettare la redditività futura; è necessaria un’abbondanza di capitale per il marketing per sostenere e condensare in pochi anni un processo (di crescita) che ha richiesto ai marchi tradizionali più di un decennio per essere realizzato e la superiorità operativa e la sofisticazione omnichannel hanno contraddistinto alcuni dei maggiori successi del settore, come Harry’s. Ma Web Smith, in The DTC Playbook is a Trap, suggerisce che non esiste un manuale, e che “la crescita dei DNVB deve essere un’operazione malleabile e agile” per distinguersi e sopravvivere.

I modelli di retail contemporanei e tradizionali si stanno fondendo

I modelli di retail contemporanei e tradizionali si stanno fondendo

Questa malleabilità ha permesso ai marchi nativi digitali di spostarsi nel retail fisico per approfondire il coinvolgimento con il cliente, entrando di fatto nel regno del business dei marchi tradizionali. La maggior parte dei nuovi marchi si sta dimostrando agile in questo spazio, soprattutto di fronte al distanziamento sociale, con l’aiuto di formati di retail unici e dei progressi della tecnologia, come il micro-fulfillment, il drop shipping, il pre-ordine, lo “showrooming” e altro ancora.

Ma anche i marchi tradizionali si stanno muovendo in modo simile per competere e sviluppare l’esperienza di vendita al dettaglio più innovativa. Anche se sono lenti a incorporare queste nuove forme di vendita al dettaglio direttamente nei loro negozi, potrebbero, come minimo, cercare collaborazioni e acquisizioni di DNVB per acquisire clienti e/o più dati sul cliente. Si rendono conto di dover sfruttare il loro vantaggio di capitale per integrare l’innovazione digitale e i più recenti tipi di commercio esperienziale. L’acquirente di oggi lo richiede.

I vincitori saranno sostenuti dai dati 

Oggi, il principio di base della costruzione di un marchio consiste nello sviluppare relazioni profonde con i clienti, sfruttando al massimo tutti i possibili canali retail. E queste connessioni multicanale raggiungono una profondità ridotta se non sono supportate da un sistema di dati unificato. Poulin ci ricorda che “tutti i marchi che interagiscono sia digitalmente che fisicamente con dati armonizzati saranno nella posizione migliore per massimizzare le loro relazioni e quindi la loro base clienti”. I marchi che non si adattano a questo approccio avranno difficoltà a comprendere le esigenze dei clienti (in tutti i punti di contatto), finiranno per privare il cliente di ogni fiducia e per essere scalzati da un brand che si basa sui dati e che offre un prodotto o un servizio in grado di soddisfare meglio le esigenze del cliente.